1945 L’ultimo grido
(Fucilazione)
L’ultimo grido
restò inespresso,
prigioniero,
paralizzato
nella mente
che già si faceva di pietra.
Un chiodo
era stato sparato
da vicino,
conficcato
dentro al cranio,
dalla canna di un fucile,
premuta
sulle carni della gola.
Come un trapano
perforò
le ossa della nuca
da dietro.
Il suo grido,
fu,
come lui,
catturato,
prigioniero,
paralizzato,
trucidato,
alla landa.
Cadendo a terra,
il grido
non provocò rumore;
scivolò con lui,
muto come lui,
lungo la china,
calamitato da altre ombre
dentro la buca scavata
poco prima;
fu, come lui,
sprofondato
dentro ad un tempo senza fine.
Il grido muto,
da là sotto,
scrutò sopra le frasche
degli alberi e sopra la brughiera,
in cima e tutt’intorno,
sopra il cumulo di terra rimossa e sopra l’erba sradicata,
in cerca del cielo e delle sue nuvole.
Cercò,
anche se riverso,
con il cranio martoriato,
con il volto sfigurato,
con gli occhi spalancati,
con la bocca senza fiato,
con la faccia premuta
contro la roccia.
Cercò,
da là sotto,
la vita
il canto
per sempre,
sognati
non solo per sé.
Cercò,
anche se da solo,
anche se già non più lui,
anche se quello che avrebbe potuto vedere,
oramai,
era solo notte,
notte
infinita.
Ho lasciato la mente libera e questi versi mi hanno trascinata in un fossato profondo e buio.
Un urlo senza suono è uscito dalla gola mentre sentivo le grida mute di altri uomini e donne.
Mi è sembrato di conoscerli, ne ho ammirato il coraggio, le idee, gli ideali e le convinzioni della giovane età.
Ho seguito con strazio ma infinita gratitudine, il loro grido mentre sprofondava in una notte infinita.
Allora ho iniziato a sperare che in qualche modo fosse uscito da quel buio infinito e salito, libero, verso un cielo azzurro e luminoso.