Tardo pomeriggio di un giorno d’agosto. L’arresto dell’ascensore avviene, come programmato dal piano terra, all’ultimo piano del palazzo, esattamente il settimo del civico 14 di via Alessandria. Il Brigadiere dei Carabinieri, seguito da due giovani allievi in divisa, si avvicina alla porta dell’interno 13 e suona ripetutamente il campanello. Non avendo ottenuto alcuna risposta si volge verso un signore di mezz’età, in borghese, con busta di pelle marrone sottobraccio e che chiude il gruppo. Lo interroga con un cenno del capo, l’uomo annuisce, trae dalla borsa una chiave e la porge all’ufficiale. “Apriamo” ordina il Brigadiere rivolto ad una delle due reclute poi all’altra ordina: “Lei rediga il verbale”. Un unico scatto della serratura e dalla zona bassa della porta schiusa esce sul ballatoio un getto d’acqua potente che investe gli astanti. La porta viene lestamente richiusa con un tonfo; il brigadiere fa il 115 sul cellulare di servizio. Arrivano quasi subito i Vigili del fuoco, già preavvertiti, muniti di potenti aspiratori prosciugano il pavimento dell’intero appartamentino, un bilocale sottotetto, dopo aver chiuso strettamente i due rubinetti del bagno tuttora aperti, per fortuna, solo a metà. Gli inquilini dei piani sottostanti, sottolinea l’uomo in borghese, avevano lamentato copiose infiltrazioni d’acqua. Tutto viene scritto e descritto puntualmente sul verbale, infine sottoscritto; si segnala in particolare la presenza nel bagno di un registratore Philips modello antiquato AQ6340, miracolosamente asciutto, contenente una cassetta registrata per metà; viene requisito e acquisito agli atti.
Due giorni prima, all’incirca alla stessa ora, Siria è appena rientrata nel suo bilocale sottotetto. Ha chiuso dietro di sé la porta con un colpo di fondoschiena. Ha gettato un mazzo di chiavi sul tavolino dell’ingresso, scaraventato verso punti imprecisati del corridoio le scarpe sfilate da sopra i piedi bollenti e aperto la porta del bagno. Una finestra filtra, attraverso la tendina di organdis, la luce serotina e la trasforma in getti lattescenti che vanno a confondersi con gli spruzzi di acqua calda e fredda che fuoriesce dai due rubinetti della vasca. Siria, insolitamente eccitata ed inquieta, si spoglia a tratti, si aggira parecchio a vuoto, tra camera da letto, tinello e bagno, come alla ricerca di qualcosa che non le riesce di trovare o ritrovare. Lascia cadere sul pavimento del corridoio, una dopo l’altra, come un combattente che abbandona le armi nella disfatta, quasi fossero divenute pesi inutili ed insostenibili, la blusa e la gonna di raso nero, lucide ed attillate, la camicetta di crespo rosa, la biancheria intima e le calze velate tutte dello stesso colore rosa. Alla fine è completamente nuda, alta e ben tornita, la pelle ancora abbronzata nonostante l’ottobre avanzato. Cupa e tirata in viso fruga dappertutto. Finalmente trova il vecchio registratore audio e lo posa sopra una pila si asciugamani ripiegati accanto alla vasca da bagno avendo cura di avvicinarlo il più possibile al bordo di alluminio smaltato. Chiude a metà i rubinetti, schiaccia i pulsanti play e record, si infila, mentre un brivido le attraversa tutto il corpo, nell’acqua tiepida, immergendosi sino alla base del collo. Socchiude gli occhi e ruota lentamente la testa orientando il viso verso il registratore. Sta eseguendo tutti questi atti, come un automa, sotto le indicazioni di un impulso, forte e profondo, che la muove contemporaneamente in due direzioni differenti e contrarie: fuggirsene subito o fermarsi quanto basta per raccontare e ricordare gli ultimi atti da lei compiuti nel pomeriggio, secondo lei per lasciare una traccia, per spiegare e spiegarsi con interlocutori probabili e futuri. Facendo violenza a se stessa ed al silenzio della stanza da bagno mosso solo dallo sciabordio dell’acqua dei rubinetti aperti a metà; con una voce che non sente come sua inizia il suo racconto in differita. Sono le diciassette da poco passate, l’auto nera, una Porsche, è ferma sul piazzale appena dopo l’uscita del casello autostradale posto in cima alla collina che sovrasta la città rivierasca di S. Ingrigito dal fumo delle troppe sigarette già fumate, Maurilio accende un’altra delle sessanta bionde che stanno dentro la sua media giornaliera. Siede al volante. L’interno dell’abitacolo è caotico; si contendono lo spazio disordine, polvere, residui di fango, numeri vecchi di riviste bimestrali di diritto aziendale, libri che trattano di informatica, magliette e golf sdruciti e sporchi, nastri e CD di musica classica. Ha appena inserito nel lettore le dissonanze del quartetto n.19 in do maggiore di Mozart. Continua a fumare, assapora gli aromi che si sprigionano dalle spirali azzurrine del fumo mentre, ad occhi socchiusi, segue i passaggi dell’andante cantabile, aspetta. Non li deve vedere insieme nessuno, ha chiesto al telefono con tono di chi esclude ogni replica. Voleva apparire come uno che stava chiedendo un appuntamento, in realtà era solo maleducato ed offensivo come ogni volta che si sentiva braccato e senza il pieno controllo della situazione. Siria, alla guida della sua utilitaria rossa, con la vernice scrostata su più punti, accompagna col volante e con voluta lentezza, i tornanti che conducono in cima alla collina e che a lei richiamano l’attorcigliarsi di un boa di false piume attorno al collo di una subrettina d’avanspettacolo. Curiosa immagine, strana associazione! Che si sentisse in fondo anche lei considerata alla stregua di una donna comprabile, futile e fragile? Questo pensiero le era ritornato spesso in testa nell’ultimo periodo, lo aveva però stornato dalla mente subito. Siria si sta invece domandando che cosa ci possa essere sotto a quella improvvisa richiesta di appuntamento, non riesce ad immaginarselo come non riesce a comprendere il bisogno di quell’apparato insolito ed esagerato di prudenze e di segretezza. Si frequentano ormai da più di un mese, non ne hanno fatto mistero, in fabbrica ad esempio lo sapevano tutti. In verità gli occhi di Maurilio erano cascati su di lei parecchio tempo prima. Siria ricordava bene la circostanza. C’era stato un annuncio tramite l’interfono nel suo reparto, esso ripeteva: “L’operaia specializzata Siria D. nell’ufficio del capo del personale”. “Vai pure. Ti sostituisco io” le aveva detto senza entusiasmo e senza alzare la testa e staccare gli occhi dal quadrante dei pulsanti, Delia, compagna di lavoro alla catena di montaggio e attivista con lei nello stesso sindacato. Ancora in tuta da lavoro, cuffia in testa, guanti e soprascarpe, Siria era uscita dal capannone, aveva attraversato in diagonale il piazzale, varcata la soglia della portineria del “palaotre” 33 come veniva indicato in gergo e non senza sarcasmo da tutti gli operai della fabbrica la costruzione di vetro e cemento, a due piani, sede degli uffici della direzione e della segreteria contabile. Anche allora si era domandata cosa potesse volere da lei il capo del personale, “il torinese” come veniva soprannominato da tutti, impiegati, operai, commessi, forse, ma non era del tutto sicuro, per la sua città di nascita. Circolavano su di lui certe storie… Selezionava, assumeva, licenziava e passava di reparto i dipendenti, si diceva, in base a ciclicità definite, sempre in gergo, di tipo isterico. Era un duro, un narcisista, un conservatore, aveva parlantina, insomma ci sapeva fare, e se poteva, ti fregava, avevano riportato in assemblea i compagni della commissione interna. Impossibile qualunque tipo di accomodamento, di intesa, o peggio ancora, di accordo, anzi era vietato. Lei, comunque si fossero messe le cose, avrebbe condiviso, discusso e concordato con loro il da farsi. “Si sieda, ci sono un paio di cose che deve stare a sentire” erano state le prime parole di Maurilio. Non si era seduta e lui aveva proseguito senza badarci. Si trattava di un’inaspettata ma consistente commessa, fuori dal solito giro, da spedire, pronta consegna, massimo entro venti giorni, all’ordinante. Nessun contributo previdenziale, nessun assegno pensionabile, niente da mettere in busta regolare, cottimo e basta. Erano necessarie almeno tre operaie del reparto 4, il suo. Bisognava convincere due o tre operaie delle più navigate, meglio se indebitate o in procinto di mettere su casa o simili…sapeva lei quali. Tutto in fretta, tutto che non si sapesse in giro, prendere o lasciare e passare ad altre più disponibili. Siria lo aveva ascoltato con attenzione rivolta al minimo dettaglio della comunicazione, prevenuta a causa dei sentiti dire e difesa dal muro della sua integrità morale abituale, ben nota a chi la conosceva in azienda e fuori, ma anche con uno strano misto di curiosità invischiato con una strana forma di attrazione, forse a causa di quella sua voce rauca e profonda, dello sguardo vissuto, ironico, avviluppante. Per quanto mi riguarda, a queste condizioni, non se ne fa nulla, rispose senza esitazione. Aveva quindi fatto l’atto di girarsi sui tacchi e andarsene ma lui l’aveva trattenuta dicendole che ci pensasse bene, erano in gioco, lei doveva già esserne a conoscenza, due nuove assunzioni a tempo indeterminato e un passaggio di categoria per un pensionamento imminente, proprio nel numero 4, il suo reparto. Siria aveva ascoltato sino in fondo quel sibilo e aveva avuto un attimo di esitazione, Maurilio ne aveva approfittato subito per ricordale che la sua caporeparto avrebbe lasciato vacante il posto per la pensione fra due mesi esatti. Era avvampata, aveva voltato di scatto le spalle ed era corsa via portandosi appresso le sue fragilità. Non sarebbe mai più tornata sull’episodio se il giorno dopo non ci fosse stato quel terribile incidente al reparto 6, quello delle spedizioni. Disgrazia tremenda e faccenda poco chiara finita immediatamente sulla stampa locale e da ultimo anche in tribunale. Uno degli operai addetti all’imballaggio delle casse di fiale farmaceutiche, una delle molteplici manifatture con cui la fabbrica si era fatto un nome, era finito schiacciato sotto un carico, sfuggito non si sapeva ancora perché, al gancio di una gru che lo stava sollevando per poi posarlo sul tir in attesa sul piazzale, si parlò di una tragica svista ma il poveretto che non era per fortuna morto sul colpo ma aveva larghe ferite al capo e lesioni al torace aveva perso conoscenza. Trasportato all’ospedale, era entrato in coma irreversibile, lasciando moglie e tre figli ad aggiustarsi. Ne era seguita un’indagine da parte dei carabinieri e della magistratura. C’erano stati la mobilitazione sindacale e la proclamazione dello sciopero per un’intera giornata. La tetra vicenda aveva anticipato di molto la riapertura delle trattative per il rinnovo del contratto e per la revisione e la messa a norma delle condizioni sul lavoro. Il braccio di ferro tra maestranze e direzione dell’azienda si era avviato in un clima arroventato alimentando sospetti e diffidenza tra le due parti. La conflittualità e la tensione erano salite rapidamente alle stelle molto oltre i livelli di guardia anche a seguito dell’intervento non programmato dei comitati di base. Durante la prima fase di occupazione della fabbrica, l’astio e l’impulsività dominarono le tattiche decisionali dei lavoratori e dei loro sindacati, il clima divenne insostenibile, avvelenato, tanto che si passò immediatamente allo scontro, in un caso isolato, anche fisico, tra i lavoratori in sciopero impegnati nel picchettaggio, i precettati e le forze dell’ordine, in via cautelativa messe sull’avviso dalla direzione della fabbrica fortemente preoccupata per gli sviluppi che stava assumendo la vicenda. Si era al terzo giorno di occupazione della fabbrica ed era di pomeriggio, un soffocante e torrido pomeriggio di luglio, Siria ricordava che stavano tutti assieme, membri interni e delegati, nella sala mensa trasformata in centro di coordinamento operativo. I volti stanchi e cupi di tutti nell’attesa di vedere chi avrebbe fatto per primo la mossa decisiva. In mattinata c’erano stati dei fermi da parte della polizia disposti nei confronti di alcuni infiltrati nel corteo del giorno prima. Tirava un’aria opprimente, irrespirabile, resa elettrica e minacciosa dall’afa incombente. Verso le diciassette si sparse la voce che ci sarebbe stato un tavolo di trattative tra l’amministratore delegato ed i rappresentanti di fabbrica incaricati in quanto democraticamente eletti. Alle diciotto si ripeteva che erano attesi al secondo piano del “palaotre”. Passarono le ore ma nessuno si mosse dalla sala mensa e neppure dai reparti dove le macchine andavano al minimo. Vennero le diciannove con la stessa situazione di stallo. Qualcuno aveva messo in giro la notizia che quelli che si trovavano nel reparto imballaggi avevano fatto scorta di viti, bulloni e chiodi da utilizzare se l’Amministratore o chi per lui si fossero presentati. Alle venti e trenta si aprì la porta a vetro del “palaotre” e ne uscì una silhouette scura, non quella dell’amministratore delegato, ma quella del capo del personale Maurilio, per i dipendenti, “il torinese”. Il piazzale ancora incandescente per il caldo eccessivo del giorno, reso spettrale dalla luce arancione degli alogeni, era completamente deserto venne immediatamente puntato dagli occhi di tutti. L’uomo in camicia bianca, giacca pantaloni e cravatta color asfalto, veniva avanti camminando piano, con andatura rilassata, come se stesse facendo una passeggiata per proprio conto e lontano da lì. Si dirigeva verso i locali della mensa aziendale. Fu allora che Siria misurò con gli occhi la testa brizzolata, il fisico minuto, quasi gracile, si accorse della bassa statura, dei piedi piatti e dell’andatura da cameriere, ma non le spiacque affatto quello che vide. Maurilio entrò nel locale che sapeva di cibi fritti in olio di semi, di fumo di sigaretta e di sudore, guardò dritto davanti a sé dando l’impressione di avere ben presente ogni faccia senza vederne nessuna in particolare e dal bianco degli incisivi superiori se ne uscì con: “Ragazzi, allora che vogliamo fare?”. Si sedettero e il tavolo delle trattative si avviò. Tutti lo capirono perfettamente, nello stesso momento in cui ne presero due dalla mensa e li accostarono per farne uno. Ci impiegarono due settimane circa, infine sottoscrissero e formalizzarono gli accordi ed in fabbrica riprese la routine lavorativa. Anche Siria aveva partecipato alla trattativa portando come delegata la voce delle compagne di lavoro. Tutto riprese a funzionare come prima, commesse, turni, spedizioni. Siria si stupì, quella sera, dopo aver alzato il ricevitore del telefono di casa, era Maurilio che si scusava per l’ora e per l’insolita circostanza. La chiamava dall’ufficio e voleva sapere se aveva i nomi delle cottimiste essendo la commessa straordinaria ancora inevasa. Non sollevasse nessuna obiezione, sottolineava, negli accordi dell’ultimo contratto si prevedeva stranamente di inserire il cottimo in busta paga e di aprirlo a turno a tutti quelli che si rendessero disponibili, secondo cicli prestabiliti, in via eccezionale e solo sino all’esaurimento delle commesse straordinarie di quell’anno solare e basta. Anziché insospettirsi ed irritarsi, Siria fu invasa da una strana calma che la fece sorridere dentro e accennare ai nomi di Delia e Pina, sue compagne di reparto, da contattare come probabili candidate. Si escluse, per una curiosa soggezione, forse un pudore interiore simile a una sottile compiacenza, insomma, una specie di arrendevole sottomissione, era vittima e lo sapeva, di emozioni nuove che non riconosceva come proprie, le stesse però che appena qualche minuto dopo sommessamente le fecero accettare un invito a cena a casa di Maurilio. Egli bruciava i tempi e stava bruciando anche lei. Non solo accettò ma ci andò pure. Parlarono a lungo ma fu più lui a parlare, lei ascoltò. Le raccontò che aveva moglie e due figli grandi ma che ne viveva lontano da molto tempo, pur tenendo contatti frequenti, specialmente con i figli. Aggiunse che per sua moglie aveva contato, per molto tempo, molto meno del loro cane. Per scelta, ci teneva a dirlo e non per costrizione, se ne era venuto via sei anni prima e ora faceva vita da scapolo con tre uniche compagnie: Mozart, Fibonacci e il P.C. Nessuna donna, forse un tumore alla vescica, si stava sottoponendo ad accertamenti clinici. Decidesse lei, niente di personale in caso negativo, erano due adulti. Vuoi per l’imprevedibile presentazione, l’ironia fine, il realismo sintetico quasi cinico che avevano reso inusuale la proposta di mettersi insieme, vuoi perché anche lei non stava uscendo con nessuno, vuoi infine che si sentiva molto attratta da quell’uomo, Siria ne fu completamente presa. Ciò che avvenne quella sera, subito dopo la proposta, fu come da copione. Cena semifredda comprata al ristorante cinese, un giro intorno al tavolo dove c’era il P.C. acceso e collegato a internet. Un’occhiata per sfogliare con un unico sguardo i numerosi volumi di matematica, informatica, arte ed architettura, filosofia, tra questi una Critica della ragion pratica di Kant. Una distratta ed intermittente attenzione alla disperazione depersonalizzante gridata da Don Giovanni nelle scene finali dell’opera mozartiana, infine, il loro primo letto. Rientrando a casa, a tarda notte, Siria paragonava sé stessa a una barca alla deriva, senza coordinate di riferimento, beccheggiava quieta nella calma piatta dell’appagamento fisico che quell’uomo le aveva permesso di raggiungere, ma si sentiva persa, capiva che sotto quella bonaccia si preparava la tempesta perfetta. Nonostante la stanchezza ed il bisogno di dormire, Siria capiva con lucidità che loro due erano incompatibili, troppe diversità su tutto, non ci sarebbe stato alcun futuro. Dietro a tutte le differenze Siria coglieva nitidamente, in modo anticipatorio, la contraddizione principale, affettiva e mentale che provocava la sua personale dissonanza interna, era impossibile da sopprimere o da tenere a bada. Nonostante si attardasse ad analizzare la nuova situazione sentimentale che aveva contribuito a porre in essere con le sue stesse mani, ad analizzarsi per capire e per capirsi, non vedeva alcuna possibilità di continuità e di appartenenza a Maurilio esclusa una fugace intimità che di intimità vera di coppia aveva solo il momento dei corpi avvinghiati. Non sapeva come cavarsela conservando il rispetto di sé stessa e la sua identità di donna sincera e onesta innanzitutto con sé stessa. Desiderosa di ridurre il dolore mentale che la frattura e l’incoerenza che si stavano profilando tra il suo mondo interiore, il suo sé più profondo, la sua visione della vita, gli ideali verso cui rivolgeva la sua esistenza, i valori cui ispirava, almeno sino a quel momento, i singoli gesti della sua vita quotidiana. Prese quindi una decisione, avrebbe considerato quell’ amore come un frutto tardivo della sua adolescenza, un ultimo agito o meglio un ritorno inaspettato di agito dentro l’età della ragione. Fu in conseguenza di questa sua decisione che volle convincersi, a tutti i costi, di aver preso in termini di scelta autonoma che si comportò nelle tre settimane susseguenti sino a quel momento. Non si nascondeva tuttavia che talvolta veniva colta da una rabbia sorda verso sé stessa, che cresceva di tono tutte le volte che si spingeva a scandagliare che cosa stesse veramente sotto alla sua scelta e si rispondeva onestamente: coinvolgimento affettivo andato troppo oltre. Maurilio era là, in piedi accanto alla macchina, con una mano appoggiata alla portiera sinistra e con l’altra all’altezza del petto, tra l’indice ed il medio, bruniti dalla nicotina, stringeva l’ennesima sigaretta accesa. Siria, aveva accostato la sua auto, era scesa, si era diretta verso di lui, vicina aveva accennato ad un abbraccio ma si era fermata subito, bloccata dalla sua decisione e dalla severità dello sguardo di lui. Le aveva chiesto di salire in macchina, aveva messo in moto, aveva ripercorso a ritroso la strada già fatta da lei per arrivare, girando però a destra a metà strada inseguendo una deviazione che conduceva ad un sentiero sempre più stretto ed appartato. Lì aveva spento motore e sigaretta, si era accostato e l’aveva abbracciata. Era seguito un bacio profondo e lungo che l’aveva fatta sciogliere, letteralmente liquefare dentro quell’abbraccio. Avevano fatto l’amore in macchina anche se a lei non piaceva e glielo aveva ricordato in passato. Ricordava di avergli tenuto il viso premuto sul suo seno, a lungo, mentre sorpresa da un senso dolciastro di intimità e troppo avanti nel sentimento per fermarsi, gli aveva accarezzato lentamente i capelli, lui l’aveva lasciata fare. Rimessosi a sedere al volante, colletto della camicia e cravatta allentati, tra le dita una sigaretta spenta e intatta, Maurilio come se avesse parlato a sé stesso, a voce scandita e quasi alta aveva detto “Sicuro oramai, si tratta di Parkinson”. Sbalordita gli aveva chiesto” Ma che dici, di che cosa stai parlando?” Con lo stesso tono di prima lui aveva proseguito “Mia moglie sta male, è molto malata, debbo tornare da lei. Non subito, tra un mese, il tempo di sistemare le cose qui, ho già presentato la lettera di dimissioni e siccome sono uno che non canzona, da domani non ci si vede più. Se io fossi davvero capace di sintesi ti direi che ti amo”. “Sei irragionevole” aveva replicato Siria sbigottita. “Niente affatto, non provo più niente per lei ma è la madre dei miei figli che non sanno da dove cominciare, troppo impegnati a crescere per occuparsi seriamente di lei”. Improvvisamente Siria si era sentita estromessa e lontana, estranea a quella scena che aveva immaginato molto diversa e molto più avanti. Si era preparata ed aveva previsto la fine della loro relazione ma non così presto, non in quel modo e sulla base di quelle motivazioni. Voleva fuggire via e basta. Non aggiunse altro, chiese solo di essere ricondotta alla sua auto. Giunta, era scesa dall’auto di Maurilio e salita sulla sua, prima di chiudere la portiera, senza guardarlo gli aveva chiesto perentoriamente di non pensare di proporre il suo nominativo per il posto di responsabile di reparto che si sarebbe reso vacante a breve nel suo. In meno di mezz’ora era giunta a casa, si era spogliata, si era immersa nella vasca da bagno, con se stessa e con il suo corpo si erano immersi nell’acqua e affogati insieme: delusione, avvilimento, vergogna, timore di affrontare il giudizio dei compagni di fabbrica, svalutazione di se stessa, rabbia, caduta di motivazione, tristezza per non aver compreso in tempo e accettato che Maurilio e lei si assomigliavano molto di più di quanto ella stessa avesse voluto riconoscere ed ammettere nel vivere e gestire le loro personali dissonanze interne. Aveva cercato di chiudere contemporaneamente i due rubinetti senza riuscirci completamente, aveva imprecato. Il registratore che aveva fermato sul nastro per intero il resoconto dettato dalla voce di Siria riporta, a questo punto, rumori di liquidi smossi, un tramestio come di passi che si allontanano, infine, dopo qualche minuto, il colpo secco di un battente; il silenzio si ricompone immediatamente disturbato unicamente dal persistere di un filo di acqua proveniente dai due rubinetti non perfettamente chiusi.
All’ indomani del sopralluogo nell’appartamento, il Brigadiere dei Carabinieri, in caserma, annotò a matita in fondo al verbale: “Effettuare indagini accurate e quindi attendere i tempi regolamentari per la pratica scomparsi” (tutto sottolineato). Poco sotto, un altro appunto: Contattare il sig. Maurilio (segue cognome)”.
Una settimana dopo l’amministratore del palazzo attaccò nella bacheca condominiale, posta nell’androne di ingresso alla scala, un cartello scritto in stampatello maiuscolo, chiunque passava da lì poteva leggervi: AFFITTASI BILOCALE, ARREDATO, SETTIMO PIANO, INTERNO 13. LIBERO SUBITO.