A tutti i nostri anziani

A tutti gli anziani

A tutti gli anziani che se ne sono andati

  

 

 

 

 

 

Tempo di coronavirus: ELOGIO DELLA VECCHIAIA

L’importanza di chiamarsi “ANZIANO” (1)

Le memorie e le riflessioni di un nonagenario

 

Alcune note a margine dell’intervista concessa il 25 marzo 2020 a Isabel Tavares da Antonio Coimbra de Matos nonagenario portoghese, nella vita tuttora attivo lucido e creativo psichiatra e psicoanalista.

Isabel Tavares si chiede e, contestualmente, chiede all’insigne Vegliardo come egli spiega il fenomeno per cui molte persone, pur in presenza di una necessità reale, cogente e normata, a restare a casa per ridurre le possibilità di contrarre il virus per contagio, escono comunque dalla propria abitazione e si riversano nelle strade, affollandole, non per motivi seri inconfutabili o inderogabili o di necessità provata, ma semplicemente per evadere il divieto.

L’illustre studioso per l’intanto sottolinea che nella sua lunga vita non gli è mai capitato di assistere ad una simile pandemia. Aggiunge anche che in tanti anni di vita e di professione ha avuto modo di imparare molto, ma la conoscenza più interessante a cui  essenzialmente  egli è giunto consiste principalmente in questo: il genere umano nel suo complesso e l’essere umano nella sua singolarità possiedono un’enorme capacità di reinventarsi ossia di innovare e creare, i propri modi di vivere e di interpretare l’ambiente escogitando soluzioni a problemi che a prima vista possono apparire insolubili e di conseguenza  di dimostrare di essere capace e di aver imparato a ristrutturare se stesso. Nei tempi di fortissima crisi, di seria minaccia alla sopravvivenza della sua stessa razza, la specie umana, l’uomo ha finora dimostrato di possedere grandi risorse creative innovative rivoluzionarie rispetto al passato; nelle difficoltà si è rivelato molto più agguerrito di quanto ci si aspettasse da lui, molto più combattivo e instancabile nel cercare soluzioni sia adattative che radicali ma comunque utili a dare una sterzata salutare avveniristica e precorritrice alle crucialità del suo presente. Infatti in contesti difficili sembra riemergere nell’uomo come una sorta di capacità-risorsa che entra in campo a sostenerlo ogni volta che gli si para dinnanzi una realtà di grave indigenza, di palese attentato, di indubbio rischio per la sua stessa sopravvivenza, questa capacità lo spinge a trasformare la stessa realtà in un promettente progressivo benessere. La crisi planetaria che stiamo vivendo in questo momento a livello economico e sociale oltre che a concentrare attenzioni sforzi ed intenti sull’importanza e sull’utilità della cooperazione internazionale potrebbe trasformarsi in una rara occasione da non farsi scappare per un concreto cambiamento dall’attuale società molto competitiva ad una società meno concorrenziale.

Quanto alla disubbidienza che molte persone manifestano con il loro comportamento  contrario all’obbligo della permanenza  a casa per motivi igienico-sanitari, ragione per cui  vige il divieto di uscire di casa senza seri e documentati  motivi, il Professore offre una sua evidenza, una sua  lettura personale e storica del fenomeno: per un popolo – egli osserva – che  per tanto tempo ha dovuto solo obbedire a ordini esigenti e perentori provenienti dall’alto, può arrivare il momento in cui  si sente maggiormente indotto a trasgredire, a disubbidire più facilmente; quando un popolo è stato tenuto per troppo tempo dentro alla “cultura dell’obbedienza” che  egli indica con il termine significativo di domesticazione, disubbidire diventa una specie di ribellione a quella cultura imperniata sull’utilizzo  e l’esercizio coatti dell’ubbidienza.

In aggiunta e in risposta alla domanda se l’isolamento e la solitudine imposti alla gente dai divieti sociosanitari collegati alla pandemia possono condurre le persone alla depressione ad incrementare di conseguenza i suicidi, l’anziano Studioso, specializzato in depressioni, ricorda che in tempi di crisi le persone superano se stesse, hanno però bisogno della presenza di interlocutori responsabili e lucidi. Di solito, sottolinea, in tempi di crisi, i focolai di depressione e i suicidi diminuiscono perché l’aggressività ha maggiori possibilità di esternarsi proprio a motivo dei divieti stessi e perciò non è negativo che le persone esprimano in qualche modo anche questi loro affetti aggressivi. La questione poi delle varie ulteriori proroghe dei divieti trova l’Emerito cautamente ottimista. Egli ritiene infatti che i tempi della sopportazione, dell’adattamento potranno proseguire ancora per un certo periodo senza conseguenze di rilievo; se dovessero proseguire ulteriormente potrebbe diventare via via più difficile sostenere l’isolamento, la scomparsa o la rottura delle routine quotidiane.

L’odierna pandemia comporta inevitabilmente accumuli di ansia collettiva… allora che fare? Risponde Antonio Coimbra de Matos che di pandemie di siffatto tipo, ossia come quella odierna, non ci sono nella sua longeva vita memoria o ricordo. Nonostante tutto, egli ritiene che attualmente i livelli di ansia presenti nelle persone siano già ad un livello sensibile ma ancora ampiamente al di sotto della soglia della tollerabilità, più che l’accrescimento dell’ansia egli teme che le persone siano indotte, con il trascorrere del tempo, a non conformarsi più alle prescrizioni fornite ma a trasgredirle.

Sottolinea che oggigiorno a differenza del passato, esistono varie forme di comunicazione tra le persone; con internet e i social network oggi la comunicazione interpersonale mediata è indubbiamente diffusa e facilitata. Ovviamente i contatti tramite social network non sono equiparabili a quelli diretti e di persona ma possono far sentire meno sole le persone. Quello che conta veramente è riempire il tempo, cogliere in questa evenienza, in questa congiuntura l’occasione per fare quello che di solito non facciamo proprio per mancanza di tempo, come ad esempio leggere libri, recuperare del tempo perduto e reimpiegarlo nel migliore dei modi. Purtroppo anche se questi indirizzi operativi e questi consigli preziosi vengono seguiti, la maggior parte delle persone cominciano a sentire la mancanza della routine; l’essere umano è un animale abitudinario, quindi, le persone incominciano ad avvertire che è difficile sostenere questo improvviso cambiamento. La possibilità che in un simile contesto le prescrizioni siano disattese diventa quindi maggiore. Nelle prime settimane le persone ce l’hanno fatta, ma adesso cominciano a manifestarsi i segni della saturazione, in quanto confinate a casa, in isolamento, le persone esauriscono progressivamente le energie proprie ossia quelle della loro personale capacità di resilienza e possono infrangere le regole il che però danneggerebbe la lotta contro il virus. L’anziano Psicoanalista si dimostra comunque cautamente ottimista aprendosi alla possibilità che le persone affrontino in modo positivo il perdurare dell’isolamento scoprendo modi per stare in casa e divertirsi senza vivere assieme, grazie alla capacità di adattamento che l’essere umano possiede naturalmente come in precedenza ricordato.

Spesso in questo periodo i social e i network facendo girare velocemente le informazioni e lo stesso dicasi per le trasmissioni televisive in diretta, reality non stop e simili, operano a volte senza filtri. Tutto questo potrebbe avere degli effetti e se sì, quali? Il Professore osserva che certamente esiste molta informazione poco importante ma accanto a questa esiste anche della buona informazione. E’ necessario mantenere calma e tranquillità nell’informare, dare messaggi positivi ma dire sempre la verità, non ometterla falsarla mascherarla; è importante che il messaggio rispetti la verità e rispetti l’interlocutore senza eccedere in ottimismi esagerati o senza sfociare nella psicoterapia cosiddetta di basso livello.

Alla domanda: esiste un reale rischio che perdurando l’isolamento le persone cedano progressivamente all’entropia? L’anziano Psicoanalista ne riconosce l’eventualità ma ribadisce allo stesso tempo l’importanza, proprio per ovviare a questa evenienza, di recuperare il tempo vacuo a disposizione e di riutilizzarlo leggendo, dipingendo, disegnando suonando o ascoltando musica esercitando la propria personale creatività.

Come mai molte persone pur consapevoli del dover restare a casa vi antepongono il rischio di incorrere anche in multe salate uscendo di casa infrangendo volutamente il divieto?

Riprende e ribadisce, l’Emerito, concetti e riflessioni già antecedentemente enunciati ma coglie anche l’occasione offerta dalla domanda per approfondire ed allargare i contenuti di sue riflessioni precedentemente illustrate. La tendenza sociale alla disobbedienza, egli spiega, discende dal tipo di educazione ricevuta e a livello sociale e a livello individuale. Procedendo per gradi e precisando via via egli propone un collegamento causa-effetto non di tipo fisico-meccanicistico ma dinamico storico ambientale socio-antropico a spiegazione del fenomeno sociale. Egli è convinto che a livello sociale la ribellione e la disobbedienza scaturiscano a seguito di un intervento autoritario protratto per tempi lunghi, al verificarsi e all’insediarsi di un particolare assetto sociale e politico che ha modellato i popoli e gli individui secondo direttive di tipo coercitivo ed addestrativo (il cosiddetto addomesticamento) anziché considerare gli esseri umani come esseri dotati di libertà e di pensiero autonomo. Quando l’educazione è dura costrittiva autoritaria può provocare insofferenza e desiderio di disubbidire, la coercizione e la privazione della libertà ingenera ribellione, reazioni trasgressive. La storia di ieri era densa di divieti e imposizioni, la realtà di oggi è costituita da un plenum di diritti…forse troppi?

Il Professore anche psichiatra e psicoanalista tocca, a questo proposito, un contenuto importante dal punto psicologico non solo ma anche psicodinamico ed evolutivo ossia la genesi e l’acquisizione dell’autocontrollo e dell’autonomia personale rispettivamente negli e dagli esseri umani. Un tema molto delicato che egli affronta con schiettezza e lapidaria concisione, sottolinea che il compito principale di un bambino è disobbedire ai   suoi genitori, questa affermazione, presa per se stessa, può anche suscitare un certo scalpore. In realtà il Professore chiarisce precisando che l’acquiescenza e la passività proprie dell’educazione- addomesticamento non favoriscono il sano esercizio dell’autolimitazione, non creano le condizioni proprie e necessarie all’esercizio dell’autocontrollo qualità importantissima per crescere e diventare adulti responsabili e soprattutto autonomi. Se siamo molto ubbidienti, egli soggiunge, non siamo nella condizione migliore per allenare la nostra autonomia, se obbediamo troppo alle leggi dell’altro -scuola genitori, religioni, partiti politici… – è perché abbiamo perso la capacità di contribuire noi stessi a creare le nostre leggi, in breve, non abbiamo coltivato sufficientemente la nostra autonomia. Ci sono capacità che possono essere acquisite solo tramite l’esperienza. Quando non siamo stati troppo addomesticati allora siamo in grado di autolimitarci perché abbiamo alimentato in noi la capacità di autocontrollo.

Esistono nell’essere umano due tendenze fondamentali: la prima tendenza porta a essere in grado di rispettare l’altro da noi, di vedere ciò di cui l’altro ha bisogno; la seconda è la tendenza a soggiogare l’altro. E’ questa tendenza a impartire ordini espliciti o impliciti all’altro che blocca al contempo anche l’evoluzione della restante tendenza. Il Professore riporta una precisazione chiarificante. Egli esemplifica che a chi gli domanda se è assolutamente necessario imporre dei limiti ai bambini egli solitamente di no, ciò che conta ciò che serve veramente, sottolinea, è mostrare loro che la realtà ha dei limiti. Esiste una realtà naturale fisica – colpire la testa contro il muro fa male alla testa e non al muro – e accanto anche una realtà sociale antropologica – se giochi a palla e lanci la palla in faccia all’altro o gli sputi in faccia, lui/lei si arrabbia e non ha più voglia di continuare il gioco. In entrambe le circostanze prese ad esempio se queste sono adeguatamente presentate e chiarite al bambino egli è perfettamente in grado di capire che perde. Questo significa facilitare l’autonomia o apprendimento all’esperienza, orientare il bambino gradualmente e senza che incorra veramente in pericoli per sé e per altri, questa è la via maestra affinché egli padroneggi veramente il suo apprendimento, il modo migliore per imparare, quello per tentativi ed errori.

Come far comprendere tutto questo in una società fondamentalmente paternalistica che insiste nel coccolare gli appetiti delle persone?

Lo studioso richiama a questo proposito il ricordo di una sua esperienza di docente universitario. Si trovava a lezione e stava spiegando alcuni concetti fondamentali agli allievi dell’Istituto Universitario di Scienze Psicologiche Sociali e della Vita quando si accorse che erano distratti e non lo stavano affatto seguendo nel modo in cui egli avrebbe desiderato. Andò quindi alla lavagna e con il gesso scrisse a lettere cubitali le seguenti parole: “Se hai dubbi, non andare sul libro, non fare domande all’insegnante, ma fai ricerca tu stesso”. Secondo lo Psicoanalista che è anche Docente Universitario noi viviamo in una società troppo scolarizzata. La cosa buona da fare sarebbe non chiudere le Scuole ma renderle meno “scuole” ossia descolarizzarle… renderle scuole senza scuola ossia incoraggiare molto di più negli studenti l’apprendimento autonomo; agli studenti dare veri strumenti per agire fare imparare a seguire la loro strada; l’obiettivo fondamentale dovrebbe consistere non stare nello stare in classi in cui i docenti elargiscono conoscenza ma in classi dove gli studenti stessi sono indotti a cercare risposte e conoscenze.

Questa è la via da seguire, questa è la via maestra. Consiste nell’ insegnare a pensare.

A questo punto Antonio Coimbra de Matos ricorda a tutti noi un raccontino illustrato da un noto psicoanalista argentino e che egli ritiene non solo un testo molto divertente ma anche con una sua morale dentro. Eccolo.

 “Un nonno è con suo nipote in una pampa, in una notte stellata d’estate e stanno parlando delle stelle e della luna. Il nipote a un certo punto lo interrompe e gli dice che vorrebbe andare sulla luna. Il nonno gli chiarisce che non è possibile, la luna è molto lontana. Ma il nipote insiste. Quindi il nonno gli prende la mano e inizia a camminare con il nipote lungo la strada e gli dice: “Allora cammineremo cercando di arrivare là”. Ad un certo punto, dopo aver camminato a lungo, il nipote incomincia a lamentarsi e a dire che è un po’ faticoso”.

“Sì ma se vuoi andare sulla luna, dobbiamo fare uno sforzo in più”. Fino a quando, dopo un’altra bella camminata, il nipote si rivolge nuovamente al nonno e gli chiede: “Nonno, e se continuassimo domani?”.

Ecco, non c’è che l’esperienza per testare i limiti.

Alla richiesta se ai bambini riesce difficile comprendere il senso dell’isolamento forzato dovuto alla pandemia, capire il senso del limite imposto. Antonio Coimbra de Matos esprime un forse, una possibilità che questo possa avvenire ma aggiunge anche che viene richiesta inventività e creatività in questo frangente non solo ai grandi ma anche ai piccoli, non solo ai genitori ma anche ai loro figli piccoli.

L’intervistatrice a questo punto tocca un punto sensibile ossia la limitazione degli scambi affettivi o di consuetudine tra gli esseri umani del tipo abbracci baci effusioni strette di mano… e provoca il Saggio anziano a dare la sua risposta. Egli non vi si sottrae e risponde così.

La comunicazione interpersonale riveste un aspetto molto importante presso gli esseri umani; oggigiorno le forme di comunicazione specie quella interpersonale diretta, nei tempi attuali tra individui e popoli si sono moltiplicate ed hanno  raggiunto livelli molto sofisticati e complessi estendendosi a  tutti i livelli; vige la moda che è  quasi un monito: tutti  devono assolutamente essere in contatto  con tutti da un capo all’altro della terra…quindi, tutti in contatto, ma in modo  comunque virtuale…tuttavia quando ritornerà la normalità i baci  gli abbracci   le strette di mano i contatti interpersonali di sempre verranno ripresi magari con qualche moderazione. Alla base di questa idea, egli precisa, ossia quella dell’importanza data oggigiorno al toccarsi fisicamente l’un l’altro stanno gli imperativi dei media per cui bisogna essere socievoli toccando, mantenere permanentemente il buon umore con larghi sorrisi e abbracci, e così via via sino ad avere dei figli…è quella che si definisce la dittatura della felicità a ogni costo. Quello che invece si è perso un po’ per strada risulta il seguente: trovare un tempo nella propria vita solo per pensare. Le società odierne vivono ondeggiando tra stimolo e azione con pressoché zero pensiero. Quando si riceve uno stimolo dovresti anzitutto, anzi, sottolinea l’Emerito, devi assolutamente pensare se questo stimolo è buono o cattivo, come dovresti reagire, le conseguenze derivanti da questa tua scelta azione…avere questa capacità basilare di pensare è importante per l’essere umano; qualcuno l’ha anche definito felicemente “ripensare” ripensare in quanto a volte non è sufficiente pensare soltanto, bisogna tornare indietro e ripensare quindi pensare di nuovo.

Alla domanda più che ovvia: perché le persone non pensano? Come si potrebbe rispondere? Ancora una volta l’anziano Psicoanalista vede nella “cattiva” scuola una delle concause più importanti dell’esistenza diffusa della scarsità di pensiero, una buona scuola e dei buoni insegnanti che testimonino ai ragazzi l’importanza di studiare ma anche quella altrettanto importante di meditare riflettere mentre studiano questo sì diviene assolutamente l’auspicabile.

Infine…  le ultime risposte dettagliate puntualmente rese dall’Anziano Professore  alle ultime domande dell’’intervistatrice Isabel Tavares.

Alla domanda che tendenza assumeranno le società dopo l’esperienza complessa del quasi totale isolamento in breve, sarà il rapido oblio del luttuoso evento appena trascorso con tutto quanto il suo carico di lutti, ansie e paure oppure, al contrario, sarà il ritorno alla normalità e quale normalità in questo caso.

Lo Studioso si augura, anzi spera, che le società, che la società umana, dopo questa esperienza diventi una società più pensante  di quanto non lo sia stata prima, più meditativa più rielaborativa di pensiero, in quanto la posta in gioco è a suo avviso molto alta: il rischio di ricaderci è reale dato che  al momento abbiamo ancora poche informazioni utili e scarse conoscenze tra quelle indispensabili a predisporre un vaccino valido o addirittura optare per l’ancora peggio: abbiamo sofferto ci siamo salvati dal virus e  quindi adesso godiamoci la vita..

Come faremo a rielaborare il lutto, dopo la banalizzazione della morte che ci induce tuttora a non trovare il tempo i tempi per la sua rielaborazione effettiva…

Antonio Coimbra De Matos ribadisce che una delle cose importanti è la capacità di reagire con due tipi di reazione, una prima reazione nel primo momento e un’altra una seconda in un secondo momento. Riporta un esempio concreto tratto dalla sua realtà esperienziale: una persona che conosceva e che aveva lavorato con lui al Centro di Salute Mentale dei bambini di Lisbona aveva avuto un incidente di una certa gravità, testimoniò che nell’immediatezza non aveva provato paura, nemmeno al pronto soccorso o dopo un’ora dall’incidente, ma tornata a casa, fu presa da un vero e proprio attacco di panico. Questa persona ad avviso del Professore si era comportata bene; nel momento in cui doveva reagire aveva espresso calma, aveva dovuto adattarsi e quindi controllare l’ansietà. Quando il controllo non le fu più utile poté esprimere i suoi affetti. In questo nostro momento di infezione virologica il lutto non si può elaborare, non c’è il tempo ma quando ci sarà il lutto andrà ripreso e andrà elaborato, vissuto perché il dolore non espresso diventa patologico. Imparare a rimandare, a differire la reazione che provoca il lutto, dentro a una società che invece antepone il culto dell’immediatezza e delle molte informazioni e non dà la dovuta importanza alla conoscenza.

Alla successiva domanda relativa al fatto che quantunque ancora in piena apertura o in mezzo al guado di pandemia ci si sia subito preoccupati dell’eventuale recessione economica anticipando scenari mondiali quasi apocalittici quando la ragionevolezza dovrebbe indurre un’accurata e attenta prudenza oltreché una specifica attenzione al problema anziché trattarlo subito impiegando come metodo solo il richiamo alla cosiddetta “pancia”.

Antonio Coimbra de Matos propone che deve esserci un equilibrio tra i due aspetti, non si può pensare alla vita escludendo da essa i problemi, non c’è vita senza problemi. La vita è squilibrio alla ricerca dell’equilibrio. Equilibrio non vuole dire avere un Ph uguale a 7. Si tratta di avere un Ph che fluttua su e giù. Quando c’è l’equilibrio completo c’è la morte, anche la vita mentale è questo, uno squilibrio tra gioia e tristezza, eccitazione e sconforto, desiderio e disgusto, un’oscillazione continua senza però che siano mai raggiunti gli estremi.

All’interrogativo se nel momento che stiamo vivendo possano aumentare i casi di depressione, lo psichiatra psicoanalista si dichiara fiducioso; di solito, tiene a sottolineare e ribadisce, in tempi di crisi i casi di depressione e i suicidi diminuiscono. Ripete che in tempi di crisi c’è la possibilità di esternare l’aggressività, le persone posso permettersi più aggressività, possono persino uccidere, come accade nelle guerre e nelle rivoluzioni, di fatto sono maggiormente nella condizione di esprimere la loro rabbia. Pertanto più che mai è bene che le persone dicano ciò che pensano, esprimano sentimenti che non sono da contenere altrimenti si accumulano e poi si manifestano violentemente come esplosione o come implosione.

L’ultimo quesito riguarda l’importanza che rivestono le leadership politiche e sanitarie dei vari paesi interessati alla pandemia e i ruoli i significati  le responsabilità i compiti  di cui  per definizione dette leadership risultano rivestite quali tra questi dovrebbero essere prioritari e andrebbero assunti prontamente efficacemente responsabilmente dalle autorità politiche e sanitarie, il Professore risponde  che a suo avviso i vari leader politici e sanitari allo stato attuale non si stiano comportando male. La cosa principale in questo momento è avere interlocutori lucidi che portino lucidità in modo un poco simile a come opera uno psicoterapeuta. Prosegue asserendo che ciò che caratterizza la leadership di tipo democratico è esattamente l’ascoltare, in questo caso, tecnici e specialisti, prima di prendere delle decisioni. I leader autoritari al contrario sono soliti prendere decisioni basandosi solo sulla loro testa ma così facendo producono solo pessimi risultati. Molte teste sono sempre meglio che una sola. Tuttavia, egli osserva, ultimamente le società hanno sacrificato molto alla qualità nel senso della preparazione del senso di responsabilità e della competenza specifica che i capi politici dovrebbero possedere come prerequisiti al loro lavoro. Un tempo quelli che arrivavano ai vertici del potere erano i più quotati sul mercato in ogni area della conoscenza oggigiorno non è più così. Oggi quelli che arrivano al potere non sempre sono i migliori, sia nel governo che nella politica, come nelle società scientifiche e nelle aziende. Probabilmente questo succede perché le condizioni per esercitare questo potere non sono le migliori e le persone più quotate non sono disponibili a farlo, penso per egoismo, le persone sono più egoiste di quanto si possa supporre e se non possono esimersi di sacrificarsi per gli altri, tanto meglio, preferiscono accomodarsi. Un aspetto di questa pandemia e che essa pare non discriminare tra gerarchie, classi sociali, tanto meno fare selezioni tra le età anche se, purtroppo, egli sottolinea, miete vittime maggiormente tra gli anziani e gli individui già colpiti da altre serie patologie.

Questa pandemia, conclude l’Insigne Vegliardo, nonostante le sciagure le morti i dissesti che  sta comportando potrebbe tuttavia traghettarci da una società fortemente individualista e competitiva, come si è presentata  sinora e tuttora si presenta, ad una società di cooperazione interazione e integrazione tra le persone e i popoli, come lo sono e lo sono state quelle più nobili ma tutto questo deve fare i conti con l’esistente e, ahimè, impatta fortemente con tutto ciò che l’Occidente esprime  e sostiene tuttora come sue caratteristiche fondanti: competitività, concorrenza, competizione, imprenditorialità.

Ricerche correlate:

Miguel Benasayag (1953)

Emile Durkheim (1858-1917)

Don Lorenzo Milani (1923-1967)

Edgar Morin (1921)

Donald Woods Winnicott (1896-1971)

         1. UN RINGRAZIAMENTO

Si ringrazia la Gentile Signora Maria Do Ceu per aver tradotto dal Portoghese l’intervista resa Da Antonio Coimbra de Matos a Isabel Tavares e averla cortesemente posta a disposizione della scrivente, senza questo prezioso e basilare dono la presente rielaborazione non sarebbe stata possibile.

Potrebbe anche interessarti...

2 commenti

  1. Vorrei avere il Vegliardo come vicino di casa, condivido il pensiero in tutti gli aspetti, non saprei esprimermi come invece ha fatto Lui.

  2. Condivido appieno il pensiero del Prof
    Antonio Coimbra de Mas. Ritengo altresì ottimo l’elaborato della dottoressa
    Fausta Fortunel che ha sintetizzato i punti salienti. del pensiero dello psichiatra portoghese.
    Noi umani mutati in asociali nostro malgrado. Il Covid19 ci ha tolto e speriamo solo temporaneamente, la libertà personale, ma ha promosso in ciascuno la resilienza. Questa esperienza negativa potrà realmente essere un input per ricercare, noi tutti rinnovati esseri umani, la serenità e gioia di vivere, indispensabile ad ogni età.

Rispondi a Bruno Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *