Massimo Recalcati, noto psicoanalista italiano, in un suo libro del 2014, intitolato “Non è più come prima. Elogio del perdono nella vita amorosa” (Raffaello Cortina editore, 2014) si sofferma a riflettere sul tema dell’amore e del perdono in amore, lungo tutto il libro, in particolare, nel cap. IV, intitolato Il lavoro del perdono (pp.81-131), approfondisce ulteriormente i tratti propri degli amori coraggiosi e quelli degli amori violenti. Vorrei riprenderne, qualche passo che mi sembra possa rientrare nel contesto di questa giornata dedicata alle donne, lasciando alla libertà di chi legge di andare sino in fondo alla lettura del libro che ritengo essere molto significativo e molto bello.

L’autore si sofferma a caratterizzare gli amori coraggiosi per poi passare al rapporto che intercorre tra l’amore e la violenza.

La psicoanalisi, sottolinea (p.82) dà dell’amore tra due esseri umani una lettura alquanto disincantata. Prendiamo per esempio, quello che dice del fenomeno della gelosia maschile. Esso non sarebbe affatto nutrito dalla paura di perdere l’oggetto amato, ma dalla proiezione sull’oggetto amato di forti spinte al tradimento che invece gli appartengono inconsciamente o consciamente. Da qui deriva l’inestricabile relazione tra l’amore e l’odio: se amo chi vorrei essere, nella misura in cui mi accorgo dell’autonomia dell’Altro e dunque della sua irraggiungibilità, questi diventa anche oggetto del mio odio: l’idealizzazione dell’altro, in una sola parola, l’innamoramento, viaggerebbe sempre insieme all’aggressività.

Noi abbiamo però fatto esperienza perché o lo abbiamo visto o perché lo abbiamo vissuto o lo stiamo vivendo che esistono amori che fanno vacillare queste teorizzazioni.

L’A. fa riferimento a quegli amori dove in primo piano non troviamo l’Altro ridotto ad uno specchio idealizzante del nostro Ego ma l’Altro inteso come incontro con un’esteriorità che viene amata per quello che è -nella sua realtà differente da noi e magari anche spigolosa- e non per la sua funzione di supporto al nostro Io.

Sono quegli amori che rispettano la distanza, che si nutrono dell’incontro con la differenza, che sanno vivere, giorno per giorno, l’esposizione rischiosa e assoluta nei confronti con l’Altro con generosità e con pazienza superando egoismi e ripetitività. Sono gli amori coraggiosi, sono rari ma esistono e spesso non sono i primi bensì quelli che si raggiungono solo attraverso altre esperienze meno felici. Il loro fondamento non è in un Altro idealizzato ma piuttosto nella contingenza dell’incontro che ha reso possibile l’esperienza del Due e nel desiderio che questo incontro non finisca, non si esaurisca, ma si ripeta ancora.

A differenza degli amori narcisistici che  invece vivono nel rispecchiamento simbiotico che annulla le differenze e che trasforma il legame in cemento armato e odio rivendicativo, gli amori coraggiosi si sostengono della solitudine reciproca, della libera scelta di stare insieme più che sul bisogno di allontanare la paura della solitudine, sono amori  che contraddicono  la sentenza cinica e scientista del nostro tempo secondo la quale  le coppie amorose sarebbero fatalmente destinate alla noia e al decadimento del desiderio (p.83).

Gli amori coraggiosi hanno fatto nascere il mondo in modo nuovo, hanno segnato una vita, generato passione capace di durare nel tempo, figli, famiglia, responsabilità, hanno condiviso memorie, esperienze, entusiasmi, progetti, dolori, gioie, fatiche (ibidem, p.83).

E gli amori che si mescolano alla violenza possono ancora essere chiamati amori?

Assistiamo oggigiorno al dilagare della violenza, sostiene l’A.

Nel nostro mondo essa viene potenziata da una cultura che impone una visione dell’uomo come macchina programmata per la propria autoaffermazione (p.106). Quando qualcosa contrasta con questa finalità, la violenza entra in scena come uno strumento potente per eliminare ogni ostacolo. Per la psicoanalisi, prosegue l’A. sappiamo, che la scena dell’amore non è mai del tutto estranea a quella della violenza (ibidem), in questo modo, la psicoanalisi contesta il luogo comune secondo il quale l’amore escluderebbe la violenza essendo questa una profanazione pura e semplice dell’amore e la manifestazione più detestabile dell’assenza di rispetto per l’esistenza dell’Altro.

A smentire questa tesi, sottolinea l’A. abbiamo storie d’amore di uomini e di donne che vengono attraversate da una violenza che pare scaturire proprio dalla passione amorosa piuttosto che costituirne una netta alternativa (p.107). Una domanda si pone: perché alcune donne scelgono uomini, non nonostante siano violenti, ma proprio perché sono violenti? Questo è il caso di Rosaria Aprea, aspirante a miss Caserta, ridotta in fin di vita dalle percosse brutali del suo fidanzato. Non era la prima volta. Era stata già malmenata nel corso della loro storia. Anziché fuggire, allontanarsi da lui, Rosaria si preoccupa, quando è in ospedale, dichiarando di voler tornare con lui. Perché molte donne scelgono il peggio per la loro vita amorosa? Perché si gettano nelle braccia di uomini che le trattano come oggetti? Perché non se ne allontanano? L’incontro con la violenza esige, in modo sconcertante, la ripetizione (ibidem).

Il punto è che c’è sempre nell’amore umano qualcosa che concerne l’eccesso, la perdita del confine, lo smarrimento della giusta misura. Amare è un rischio assoluto che esclude il possesso assoluto dell’Altro e comporta prima di tutto un compito difficile per gli esseri umani: saper rinunciare alla violenza in nome del riconoscimento dell’Altro come prossimo, come essere singolare, come differenza assoluta. Si tratta di un riconoscimento mai indolore perché ci obbliga ad accettare che Io non sono tutto che la mia vita non esaurisce quella del mondo e quella degli altri (p.106).

L’amore assoluto è tale proprio perché non persegue la fusione con l’Altro, non esige di appropriarsene, ma è disposto a rinunciare a ogni diritto di proprietà (p.114).

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